I MODELLI DELLA MENTE
Pubblicato da dott.ssa Liliana Barbus in Psicologia · Mercoledì 07 Nov 2007 · 17:30
Tags: psicologia, modelli, mente, barbus, modelli, della, mente
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Già prima di allora, comunque, si erano formate specifiche teorie sullo psichismo, alcune delle quali si possono far risalire ad epoche assai remote (Aristotele, Ippocrate).
Tali antiche concezioni avevano una base di tipo razionalistico e mancavano, quindi, di un supporto empirico (per es. un metodo scientificamente valido). Un aspetto peculiare della psicologia scientifica consiste nel fatto che essa non si riassume in un approccio unitario e universalmente accettato e ciò è probabilmente dovuto, oltre che alla complessità del suo oggetto di studio, alla sua difficoltà nel costituirsi come scienza autonoma.
Gli storici psicologi sono concordi nel datare la nascita della psicologia scientifica in coincidenza con la creazione a Lipsia nel 1879 del primo laboratorio di ricerca psicologica, da parte di Wilhelm Wund. È il primo che decise di applicare la metodologia delle scienze naturali all’indagine sulla “psiche” (da criteri filosofici si passa a criteri sperimentali-quantitativi).
Da allora si sono susseguiti diversi modelli e teorie. I modelli della mente costituiscono i fondamenti dai quali poi si è indirizzato allo studio delle varie aree e/o aspetti che indaga la Psicologia. Fungono per lo psicologo da riferimento e lo guidano nella comprensione del mondo e delle diverse manifestazioni della personalità. Ogni modello da importanza ad aspetti diversi della personalità, in caso di diagnosi, dove è possibile, si può attingere anche a più modelli per chiarire meglio la situazione che si presenta. I modelli principali sono:
L’INTROSPEZIONISMO E L’ASSOCIAZIONISMO (verso la metà del 800)
Il fondatore del primo laboratorio scientifico di Psicologia a Lipsia Wilhelm Wundt fu anche il fautore del metodo di studio basato sulla introspezione sistematizzata. Questo metodo di studio si fondava sull’auto-osservazione e sulla descrizione minuziosa e sistematica del vissuto del soggetto.
Difatti, l’oggettività dell’uomo che si fa misura di sé stesso è solo parziale, perché lo stesso individuo è osservatore ed osservato allo stesso tempo perciò ci possono essere distorsioni intenzionali (come le contraffazioni) e distorsioni involontarie (come i rilievi indotti dalle aspettative personali).
La grande autorità accademica di Wundt e dei suoi maggiori allievi (come ad esempio Tichener negli Stati Uniti) ha fatto sì che i limiti più gravi de metodo venissero misconosciuti, facendolo preferire a metodi più adeguati per mezzo secolo, e causando un certo danno all’avanzamento delle conoscenze scientifiche in ambito psicologico. Al giorno d’oggi l’introspezione in laboratorio non viene utilizzata (se non del tutto marginalmente) anche se, è tornata in auge in particolari ricerche di Psicologia sociale ed in studi sui processi di elaborazione e manipolazione delle immagini mentali.
COMPORTAMENTISMO (“manifesto” del 1913)
Questo movimento è nato in opposizione all’associazionismo di Wundt il quale utilizzando il metodo dell’introspezione (Tichener) voleva capire come la mente potesse elaborare le informazioni provenienti dall’organismo partendo dal presupposto che questa fosse formata da un determinato numero di elementi sensoriali distinti e che la loro somma portasse poi al costituirsi dell’esperienza complessa. L’opposizione era riferita proprio all’oggetto di studio in quanto il comportamentismo sosteneva invece che essendo la Psicologia una disciplina giovane che voleva trovare un riscontro in ambito scientifico doveva studiare qualcosa che fosse direttamente osservabile e misurabile, ovvero il COMPORTAMENTO escludendo quindi dal suo campo d’indagine tutto ciò che riguardava le manifestazioni interne dell’organismo. La mente infatti veniva vista come una scatola nera che non andava in nessun modo indagata perché non può essere osservata. Prende così vita una psicologia senz’anima che studia solo quei comportamenti direttamente osservabili e misurabili spiegati nella ricerca di catene causali stimolo risposta e ricercati all’esterno dell’organismo. Per esempio il pensiero viene infierito nel linguaggio, l’apprendimento nel comportamento prima e dopo, la memoria nel ricordo ecc ecc ecc. In aiuto all’esponente principale di questo movimento Watson arrivò Pavlov - fisiologo russo - che attraverso esperimenti sugli animali introdusse quello che ancora oggi viene chiamato paradigma del condizionamento classico che prevede una semplice associazione s-r e l’organismo passivo in questa relazione. Si tratta di associare uno stimolo neutro ad uno già condizionato per ottenere la stessa risposta condizionata. In questo caso l’estinzione di tale condizionamento tornerebbe a zero proprio perché completamente indotto dallo sperimentatore mentre ritorna a livello operante quello di Skinner. Altro esponente di questo movimento che però inizia ad entrare nell’ottica di un organismo attivo nella relazione s-r. prende così vita lo s-o-r che precede il movimento confermatosi poco dopo attorno agli anni ’50 cioè il cognitivismo. In questa relazione l’estinzione tornerebbe ad un livello operante proprio perché sarebbe riferito ad uno stimolo già attivato nell’organismo, compreso, e quindi non scompare del tutto. Skinner con i suoi esperimenti nella skinner box agiva su dei comportamenti che inizialmente venivano fatti dall’animale in modo casuale e poi rinforzati. Introduce infatti il rinforzo che può essere positivo e/o negativo e la punizione. Esiste poi anche il rinforzo secondario (per es.: il denaro che per i bambini non ha valore ma poi da grande assume importanza). Per entrambi i condizionamenti vale la regola della generalizzazione, discriminazione e categorizzazione e del transfert di apprendimento che può influenzare in maniere pro-attivo o retro-attivo l’apprendimento stesso. Tutto questo per quanto riguarda l’animale. Nell’uomo il condizionamento classico può essere spiegato come “guidare e fermarsi allo stop” invece in quello operante “utilizzare un’attività piacevole per guidarne una spiacevole - principio di Premack”. Esiste poi anche una interpretazione cognitiva del suddetto condizionamento ovvero per quello classico “un’animale si aspetta che a certi stimoli ci siano altri stimoli” invece per quello operante “l’animale si aspetta che certe risposte abbiano determinate conseguenze”. I comportamentisti in linea col loro approccio adottano il metodo sperimentale, prevalentemente in laboratorio e campi applicativi inerenti ad esempio il trattamento di sintomi: paure, fobie, etc. La psicologia immette così sul mercato i primi strumenti di misurazione psicometria che offrono alle istituzioni-clienti garanzie di oggettività di cui c’è urgente bisogno. Dalla fine degli anni trenta infatti si introduce il criterio della significatività statistica come ulteriore rassicurazione. (questo criterio è stato molto criticato da autori contemporanei: la significatività è un criterio di ordine matematico, che non può rispondere tout cour a domande di natura psicologica!)
COGNITIVISMO (fine degli anni ’50)
MODELLO COGNITIVISTA - A partire dagli anni ’60 lo studio dei processi psichici superiori conosce un nuovo approccio, quello cognitivista. In ambito teorico il modello S-R è sempre più inadeguato a spiegare comportamenti complessi quali il linguaggio, l’apprendimento, il pensiero. A differenza degli altri modelli, il cognitivismo non possiede una propria concezione dell’uomo, non dà spiegazioni o interpretazioni del comportamento umano. Oggetto di studio sono i processi cognitivi e l’individuo, considerato come elaboratore di informazioni. L’organismo elabora le informazioni che provengono sia dal mondo esterno che da quello interno; tutte queste informazioni raggiungono un sistema che ha già le sue forme di organizzazione, perciò occorre chiarire come queste forme accolgono le informazioni in entrata. Compito della psicologia cognitiva è quello di elaborare micro-modelli che spiegano come funzionano i diversi passaggi di questi processi. Ogni fenomeno psicologico è un fenomeno cognitivo, perciò la psicologia cognitiva studia tutte le attività umane. L’esponente principale di questo modello è Neisser il quale sostiene che con la rivoluzione comportamentista ci si è spinti troppo oltre e che era inaccessibile non prevedere nella relazione s-r una parte di elaborazione, trasformazione e codifica (hip) dell’informazione. Difatti con questo modello si riporta al centro dell’interesse scientifico la mente in quanto essa funge da determinante nel processo s-r che inserisce come anticipato da Skinner l’organismo. Si occupa di studiare gli aspetti intellettuali del comportamento partendo dal presupposto che la mente è formata da micro modelli di analisi dell’informazione di entrata e di uscita. Il soggetto quindi arriva a svolgere assolutamente un ruolo attivo nel suo processo di interazione con il mondo e viene visto sia come elaboratore di informazioni che come generatore di significati. La mente viene prima studiata in laboratorio ma poi grazie alla tecnologia si è passati alle elaborazioni al computer. La critica quindi mossa al comportamentismo riguarda il suo aspetto meccanico e riduzionistico nel considerare tutti quei processi che stanno tra lo stimolo d’entrata e la risposta d’uscita. Vale a dire percezione, memoria, intelligenza, linguaggio, apprendimento e così via che vengono studiati grazie alla statistica inferenziale. Tutta la concezione dell’essere umano in quanto essere vivente ruota attorno al suo ruolo attivo di risoluzione dei problemi. C'è una grande distanza di impostazione rispetto al rigore metodologico del Comportamentismo. Il paradigma che caratterizza la prima fase del cognitivismo è quello HIP (Human Information Processing) che si occupa soprattutto dello studio di attenzione e memoria e propone l'analogia tra la mente umana ed un software. Il cognitivismo, dunque, sposta l’attenzione sui processi cognitivi che sono ipotetici e non osservabili. Il criterio positivistico della scienza lascia spazio ai modelli probabilistici che consentono una simulazione del funzionamento del sistema cognitivo. La metafora del computer si offre come la più opportuna per rispondere alle esigenze metodologiche di questo nuovo paradigma; è possibile, infatti riprodurre il funzionamento mentale con dei programmi ad hoc. Il secondo paradigma invece è quello connessionista, che vede la mente come una rete (di neuroni) e si usa durante l'elaborazione del linguaggio e del problem solving.
Le critiche mosse al cognitivismo sono quelle riguardo la troppa artificiosità di questi modelli cognitivi che allontanano la psicologia dalla vita quotidiana, che le informazioni che il soggetto elabora vanno viste nell'ambiente e nel contesto perché è lì che si verificano e non in laboratori, che si concentrano troppo su problemi logici e meno su quelli che sfuggono alla logica (emozioni, creatività, interazioni tra soggetti, ecc...), il fatto di non avere un rigore metodologico, di essere deboli sperimentalmente e di non avere un'unica e precisa teoria di riferimento. Nonostante tutte queste critiche, il cognitivismo ha fatto sì che si ribadisse la necessità di trovare una teoria esplicativa della mente, perciò il suo lavoro ha portato non solo crisi, ma anche nuova vitalità nella ricerca. Il cognitivismo trova, come ambiti applicativi, per esempio gli studi sui processi mnestici in diversi campi (tipo scuola, lavoro…), inoltre nello studio di mnemotecniche sia verbali (acronimi, acrostici, ecc…) che visive (storie ed immagini mentali). Gli psicoterapeuti ad orientamento cognitivista tengono conto dei processi di pensiero e dei significati personali che mediano la risposta dell’individuo agli eventi stimolo e utilizzano tecniche prevalentemente verbali. Obiettivo dell’approccio cognitivista non è l’eliminazione dei sintomi, ma la modificazione dei comportamenti non adattivi e dei processi di pensiero irrazionali e assoluti che producono i sintomi. Se nelle terapie comportamentali le capacità verbali sono meno necessarie, chi sceglie una terapia cognitivista deve avere minore capacità verbale ed un livello medio di funzionamento cognitivo. Il soggetto in terapia apprende l’applicazione del pensiero logico alla soluzione dei problemi. Le tecniche cognitive agiscono sui processi cognitivi di mediazione conscia. Consistono in un’ampia varietà di interventi di ristrutturazione cognitiva tesi a modificare i processi di pensiero.
PSICOANALISI (1900)
Questo modello teorico non nasce in un contesto accademico o in laboratorio, ma deriva dalla sistematizzazione teorica di esperienze cliniche, in particolare trattamenti con tecniche ipnotiche di pazienti affetti da nevrosi isterica, aventi disturbi sia psichici che somatici. Per spiegare il nesso tra questi fenomeni posti su piani così fortemente eterogenei, FREUD ebbe l’intuizione di postulare un’unità di base del complesso mente-corpo in senso bidirezionale (la mente agisce sul corpo e viceversa), insieme ad una pluralità di livelli mentali (un livello inconscio, uno preconscio e uno conscio). Il modello si chiama psicodinamico perché fa riferimento ad una relazione dinamica tra tre istanze psichiche (Es, Io e Super-Io). Ciò che rende discusso il modello freudiano è il fatto che esso presuppone l’esistenza di un’entità che è per sua definizione inosservabile: l’inconscio. Difatti Freud utilizza come tecnica per capire l’interno dell’organismo l’analisi dei sogni, delle difese e delle associazioni libere che permettono di far emergere i conflitti, le paure che generalmente sono segregate nell’Es e sostiene che il comportamento sia guidato da forze interne come pulsioni e desideri. Esso può essere individuabile solo in modo indiretto e per mezzo dell’interpretazione, valutando la presenza o l’assenza di certi particolari fenomeni (atti mancati, lapsus, sogni, sintomi) che sono ritenuti essere l’espressione di tale istanza psichica. Presupposto alla base del metodo dell’interpretazione è il determinismo secondo il quale nessun aspetto della condotta o del vissuto di un individuo è dovuto al caso, ma deriva costantemente da un fattore preciso. Metodo d’indagine eletto per la psicodinamica è il colloquio (con l’analisi dei sogni e delle associazioni libere) e dei test proiettivi come Rorschach e TAT (Test di Appercezione Tematica).
GESTALT (nascita ufficiale: 1912)
MODELLO FENOMENOLOGICO - La nuova psicologia, nota come Psicologia della Gestalt nacque in Germania e insieme al comportamentismo e alla psicoanalisi è la corrente che più ha caratterizzato il periodo tra il 1° ed il 2° conflitto mondiale. Questo modello critica l’associazionismo perché non si tratta di indagare la mente come formata da un determinato numero di elementi sensoriali distinti ma dalla totalità dell’organismo. Così come rivolge la critica anche al comportamentismo per aver trattato in modo troppo superficiale i processi percettivi di elaborazione delle informazioni. Vede quindi l’importanza dell’organismo come ruolo attivo. L’obiettivo è quello di studiare il modo in cui gli eventi vengono rappresentati nella mente dell’osservatore indagandolo nella percezione. L’individuo viene visto nella sua totalità e l’attenzione posta a quella che è l’esperienza percettiva che attiva l’organismo in quanto va a colpire quelle che sono le motivazioni, emozioni, stati d’animo del soggetto. Il movimento della Gestalt si propose di studiare tutte le funzioni mentali, anche se in un primo momento si interessò di analisi della “percezione”, campo che consente di cogliere il carattere dinamico e sintetico della vita psichica, e si evita di assolutizzare il valore dell’oggetto esterno. Vengono rintracciate strutture o Gestalten sia nel mondo fisico che in quello mentale: tale condizione costituisce il postulato “dell’isomorfismo” secondo cui esiste una corrispondenza di forme tra mondo fisico e mondo psichico, tra sfera fisiologica e sfera mentale. Il “tutto è diverso dalla somma dei singoli elementi che lo compongono” si può comprendere solo se evita di scinderla in elementi semplici, altrimenti se ne snatura completamente l’essenza. I problemi sorti in Europa durante la seconda guerra mondiale fecero spostare molti ricercatori verso gli Stati Uniti. Grande contributo all'evoluzione di questo metodo è data da Von Ehrenfels: (qualità della forma) pone la questione se una situazione complessa (es: melodia, forma dello spazio) sia “un semplice insieme di elementi o qualcosa di nuovo, che pur presentandosi con quell’insieme sia però da esso distinguibile”? Riconoscimento di “totalità”. L’orientamento fenomenologico pone in primo piano il nesso soggetto-oggetto. Tale relazione viene indagata in particolare nell’atto psichico della percezione. L’indirizzo fenomenologico si consolida nella psicologia europea grazie agli psicologi della cosiddetta scuola di Berlino: Wertmeimer, Kohler, Koffka. Questi studiosi non danno un contributo a comprendere solo le leggi della percezione visiva ma anche allo studio dei processi cognitivi. In particolare il contributo di Kohler studia il comportamento di una scimmia per evidenziare la capacità di ristrutturare il campo al fine di trovare una soluzione innovativa al problema. Gli studi sul comportamento animale hanno portato allo studio del pensiero creativo. Kohler [psicologia dell’apprendimento] introduce il concetto di insight che può essere definito come una riorganizzazione dell'ambiente che porta ad un’azione nuova ed adattata. Sarà Kanizsa che contribuirà a dare un peso alle ricerche svolte in Italia. A questo autore si devono gli studi sul "triangolo immaginario". I suoi studi confermano e approfondiscono in parte il dibattito sulle leggi della forma proposte da Wertheimer. Nelle sue ultime opere parla di: processo primario---> Percezione processo secondario--> conoscenza. Particolare rilievo ebbe l’influenza della Gestalt su Lewin. Inizialmente i suoi gruppi di discussione partivano da principi della psicologia della forma. Lewin ipotizzò che come in percezione la somma delle parti è qualcosa di diverso dal tutto che si ottiene, così un gruppo di persone è una realtà diversa rispetto ai singoli che partecipano. Inoltre ogni soggetto ha con gli altri diversi tipi di relazioni: pertanto cambiando un aspetto del gruppo possono cambiare anche gli aspetti interpersonali. L’analisi delle dinamiche interpersonali sorregge non solo la struttura soggettiva ma anche la fisionomia complessiva del gruppo. Accanto a Lewin si può collocare, in rapporto alla Gestaltheorie in laboratorio e psicologia sociale, Festinger, che propone la "teoria della dissonanza cognitiva". Il nostro comportamento ricorda spesso la tendenza alla buona forma ipotizzata dai gestaltisti: nei nostri rapporti con gli altri e con la realtà circostante tendiamo all'equilibrio e alla chiusura di forme che se rimanessero aperte si immobilizzerebbero nell'incertezza. La terapia della gestalt centra l’attenzione sul qui e ora, sull’esperienza immediata dell’individuo. L’obbiettivo non è quello di “curare” il soggetto, ma quello di restaurare la sua capacità di autoterapia, rimuovendo quei blocchi che gli impediscono di accettare ed integrare le polarità all’interno del sé. L’autoconsapevolezza è di per se curativa. Per raggiungere tale obbiettivo il terapeuta usa sia il sostegno che la frustrazione, privilegiando il fare piuttosto che il conversare. Le tecniche verbali cercano di mantenere il soggetto in costante contatto con quello che sta accadendo. Le tecniche non verbali sono focalizzate sulle sensazioni fisiche e corporee, sull’esagerazione del respiro, dei movimenti, delle tensioni, dei disagi per aumentare la consapevolezza. Tra le tecniche più famose c’è quella della sedia vuota. Si tratta di un role-playing, in cui tutte le parti sono giocate dal cliente. Si mira a realizzare un maggiore livello di integrazione tra le polarità e i conflitti che esistono in ognuno di noi, raggiungendo la chiusura della gestalt e ricomponendo le parti nel tutto. In quanto approccio fenomenologico presenta alcuni limiti riscontrati anche nel associazionismo; siccome il fenomeno psichico viene studiato direttamente attraverso la configurazione del vissuto quindi permangono alcuni problemi di attendibilità e di validità.
EPISTEMOLOGIA GENETICA (anni ’50)
L’opposizione all’elementismo wundtiano e alla sua sterilità nello studio del pensiero trova risonanza anche in Francia, con Binet negli anni tra la fine del sec. XIX e quelli precedenti la 1° guerra mondiale si sentì la necessità di trovare un metodo di studio delle funzioni psichiche superiori che unisca il rigore del metodo sperimentale e quelle qualitative che è in esso contenuto. Necessità di costruire esperimenti rigorosi e corretti anche per le attività di pensiero senza utilizzare l’ambiguo metodo di introspezione controllata (Wundt). Si costituisce un atteggiamento sintetico, unitario, che colga la complessità dell’attività intellettiva che rifiuta di scomporre in unità minime fenomeni complessi. Da questo terreno ricco e fecondo di premesse nasce, negli anni ’20, l’indirizzo teorico detto “epistemologia-genetica” di Jean Piaget. La psicologia di Piaget è “genetica” perché intende rintracciare la successione dei passaggi fondamentali (stadi) in virtù dei quali si compie il processo di maturazione dell’intelligenza, a livello individuale e della specie, e perché cerca di ricostruire il sapere adulto sempre in virtù della successione degli stadi. È "epistemologico" perché ha come obbiettivo principale individuare le condizioni che consentono alla mente di riorganizzare cognitivamente la realtà esterna.
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